giovedì 24 aprile 2008

IL VERO MEDICO (SECONDO ME!)

Purtroppo per me non sono potuto rimanere alla conferenza martedì pomeriggio ma ho letto con grande interesse le pagine del professor De Bernard sulla formazione del “buon medico”… che sono state – oserei dire – “illuminanti”…
Riporto a tal proposito alcune affermazioni del professor G.Guerra (nostro professore di psicologia!) tratte dal suo libro “Mente e scienze della vita”, che mi hanno profondamente colpito:
"[..] il malato, in quanto soggetto, tende inevitabilmente a scomparire, a divenire nient’altro che il campo nel quale il medico osserva dei fenomeni, verifica delle leggi, ritrova ciò che era stato previsto dal sapere codificato. [..] Nella prospettiva lungo la quale anche la scala di rappresentazione dei fenomeni diventa sempre più dettagliata passando dall’organo alla cellula e da questa alle molecole, un po’ alla volta il malato viene soppiantato dalla malattia, di cui è diventato solo il portatore, uno dei tanti casi".
Io credo che sia positivo il grande processo di razionalizzazione che la medicina ha conosciuto a partire dall’Ottocento fino ad oggi. Ma al tempo stesso credo che il malato, in quanto soggetto, debba costituire sempre il fulcro dell’attenzione e dell’interesse del medico.
Sinceramente leggere che il malato è diventato, grazie all’evoluzione della scienza medica, sempre meno interessante mi fa rabbrividire.
E’ davvero un’evoluzione come si crede o un’involuzione?!
Come si può pensare al paziente semplicemente come ad un sistema fisico in cui osservare dei fenomeni e trovare conferma delle proprie conoscenze, acquisite in anni e anni di studio e fatica?! La medicina non può essere concepita come una scienza deterministica, arida, fredda, meramente razionale.
A mio modo di vedere, la componente scientifica e quella antropologica hanno la stessa identica importanza, perché sono le due facce della stessa medaglia: LA MEDICINA!!!
Il medico deve vedere il proprio oggetto di studio e di ricerca nel paziente, in quanto persona, e pensare che ogni paziente è diverso dall’altro, perché ogni uomo è diverso dall’altro, per cui i problemi di uno saranno diversi da quelli di un altro, etc…
Mi ha colpito la frase del prof. De Bernard:
Gli allievi di oggi, nel corso degli studi medici, sono ancora invitati a parlare con i pazienti ricoverati? Essi debbono essere invitati a raccogliere nella cartella clinica non solo dati ovvi (nome, cognome, precedenti malattie, etc). [..] non basta raccogliere i fatti salienti sullo stato attuale morboso, ma è altrettanto importante ricevere dalla CONVERSAZIONE informazioni sullo stile di vita del paziente, il vissuto nell’ambiente familiare e / o di lavoro, il suo modo di affrontare il mestiere di vivere, ricordando che il corpo e la mente sono inscindibili e che il primo è lo specchio della seconda”.
La soggettività del paziente deve essere messa in primo piano insomma, il medico deve riuscire a stabilire con il paziente un rapporto di fiducia e deve essere in grado di entrare nel suo mondo, perché magari un particolare, apparentemente insignificante, della condotta di vita del malato può essere rivelatore della vera causa del suo problema. Senza contare poi il fatto che mente e corpo costituiscono un tutt’uno indisgiungibile, per cui tra medico e paziente ci deve essere interazione anche in quel senso, si deve cioè stabilire tra i due un solido rapporto fatto di dialogo, fiducia, calore, EMPATIA.
Il buon medico è “ una persona certamente colta ma anche ricca di umanità ”!

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